Garantiti e non garantiti

Mentre il Covid 19 continua la sua corsa ed ogni tentativo di porvi argine comporta come effetto collaterale l’aggravamento della crisi economica che sta minando quel poco che resta di una coesione sociale già pesantemente compromessa ancor prima che la pandemia esplodesse, si assiste da più parti ad un crescendo di analisi accumunate dall’intenzione di contrapporre all’interno del tessuto socio-economico del Paese  le categorie di soggetti garantiti a quella dei non garantiti.

Ne consegue il postulato semplicistico  e fuorviante, ma non per questo meno insidioso, di ulteriori aggravi del carico fiscale di quanti vengono additati come soggetti privilegiati, al fine di offrire forme di sostegno a quanti più in difficoltà a causa degli effetti del virus.

Lungi dal negare il dato oggettivo che in una società complessa ed articolata, la crisi in atto da tempo, aggravata dalla pandemia, stia impattando in maniera diversa sui diversi strati sociali, l’ultima cosa di cui si sente il bisogno è quella di innescare strumentali conflitti tra categorie di cittadini attingendo all’armamentario dei più beceri e sguaiati luoghi comuni .

Ci appare piuttosto assai più utile e costruttivo cogliere l’opportunità che la dolorosissima stagione che stiamo vivendo ci offre, di guardare ai problemi strutturali del nostro sistema socialee comprendere che, se non intendiamo restarne travolti, è questo il momento di affrontarli con la lucidità ed il coraggio sempre mancati alle varie compagini politiche che si sono susseguite nel corso dei decenni alla guida del Paese.

Ciò premesso, è impossibile non individuare nelle risorse sottratte allo Stato  e quindi – è sempre bene ricordarlo – , a ciascun cittadino, attraverso un’evasione  ed un’elusione fiscale che ci pongono ai primissimi posti in Europa in questa ben triste classifica, una tra le cause principali della situazione di grave sofferenza del nostro sistema sanitario e dell’inadeguatezza dei mezzi con cui si sta tentando di supportare le categorie maggiormente colpite dalla crisi.

108 miliardi di euro: è questa la spaventosa cifra a cui ammontava l’evasione fiscale nel 2018 secondo dati contenuti in un rapporto redatto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Per comprendere la portata della questione, basti pensare che l’intera spesa pubblica annuale per la sanità ammonta a circa 118 miliardi di euro e che la cifra evasa consentirebbe di coprire per ben due volte la spesa del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca.

E’ di tutta evidenza quanto l’aver potuto disporre di queste risorse avrebbe, nel corso degli anni, consentito di approntare un sistema sanitario ben più efficiente di quello attuale, evitando i tagli sistematici che lo hanno reso fragile ed inadeguato a fronteggiare una pandemia il cui verificarsi era già scritto nella storia della medicina.

E’ altrettanto chiaro il fatto che i c.d. ristori che lo Stato è oggi in grado di assicurare a quanti sotto il profilo economico più pesantemente colpiti dagli effetti della pandemia , avrebbero potuto avere ben altra consistenza potendo contare su finanze statali meno disastrate di quanto non lo siano per effetto di una mostruosa evasione fiscale.

Sempre per restare in tema di fiscalità, è altrettanto singolare come non si ponga sufficiente attenzione a quei soggetti produttivi che hanno beneficiato in termini economici della pandemia, in quanto i cambiamenti nelle abitudini di vita hanno spinto verso l’alto i settori gestiti dalle multinazionali del web, colossi che nel nostro Paese pagano pochi milioni di tasse l’anno – come ad esempio nel casi di Amazon – , a fronte di ricavi aumentati del 40 per cento, mentre i piccoli esercizi commerciali sono stati letteralmente strozzati dall’emergenza in corso ormai da nove mesi.

Mai come in questo momento si comprende come l’obiettivo di colmare il divario di tassazione tra ricavi tradizionali e quelli digitali potrebbe essere perseguito mediante l’istituzione di una tassa di scopo sui ricavi delle multinazionali del web, indirizzano le risorse raccolta a favore delle piccole e medie imprese nonché dei piccoli esercizi al dettaglio.

Ma è evidentemente assai più semplice, meno impegnativo e soprattutto di più immediata remunerazione in termini di acquisizione di consenso politico da mettere a profitto in occasione delle prossime tornate elettorali, scagliare anatemi contro la categoria dei pubblici dipendenti, rei, ad avviso dei loro detrattori, di aver conservato il posto di lavoro, come se per ciò ci si dovesse sentire in colpa, e di  godere “addirittura”, in alcuni casi, della possibilità di svolgere le proprie prestazioni dallapropria abitazione.

E’ di questi giorni l’idea, proveniente dalla Deutsche Bank, di istituire una tassa straordinaria del 5% sugli stipendi di coloro che scelgono di lavorare in smart working, al fine di reperire soldi da poter impiegare per dare sussidi a chi si trova in difficoltà.

La ragione di tale tassazione viene ricondotta all’asserito privilegio di poter sfruttare tutti i vantaggi del lavoro a distanza senza tuttavia sostenerne i costi.

A parte il fatto che lo smart-working ai tempi del Covid non rappresenta una scelta dei lavoratori, bensì una misura atta a contenere la trasmissione del virus, l’analisi della banca tedesca  omette di considerare che tale modalità di lavoro comporta per il lavoratore i costi per l’allestimento e l’utilizzo della postazione oltre a privarlo della vita di relazione connaturata alla presenza in ufficio e che  comporta evidenti vantaggi anche per i datori di lavoro.

Per non parlare poi del fattore, tutt’altro che trascurabile, che il lavoro a distanza, riducendo la mobilità, diminuisce l’inquinamento ambientale i cui costi ricadono sulla collettività .

Fin troppo comodo, ancora una volta, immaginare una solidarietà che si esaurisce all’interno della stessa classe sociale dei lavoratori, che per di più si punta a dividere e mettere gli uni contro gli altri.

Si tratta di un subdolo disegno, da stroncare senza esitazione, riaffermando il principio che il lungo e tortuoso percorso per la costruzione di una società più giusta e più equa, lungi dal poterpassare attraverso un livellamento verso il basso degli strumenti di garanzia del rapporto di lavoro, debba semmai puntare alla costante ricerca della loro estensione a quanti non ne beneficiano e, soprattutto, alla rimozione delle troppe forme di sfruttamento e mancato rispetto della dignità umana che tuttora attraversano il mondo del lavoro.

 

Gaetano Romanelli