CISL FP: CAMBIA PRESIDENZA BICAMERALE ENTI GESTORI PREVIDENZA OBBLIGATORIA ‘DA PUGLIA GRANDE IMPEGNO E OTTIMO METODO, PROSEGUIRE NEL SOLCO TRACCIATO’

Cambio di vertice nella Commissione parlamentare per il controllo sull’attività degli Enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, Tommaso Nannicini è subentrato a Sergio Puglia che ricordiamo è stato il primo presidente che ha convocato i sindacati per il rinnovo del contratto.

Andrea Ladogana Coordinatore Nazionale Cisl Fp Casse Previdenziali. ha dichiarato: “Siamo certi che il lavoro svolto in questa parte della legislatura dal Presidente Sergio Puglia alla presidenza della Commissione BICAMERALE di vigilanza sugli Enti gestori, proseguira’ col nuovo presidente Nannicini. Auspichiamo soprattutto che il metodo adottato dal Sen. Puglia sia consolidato e potenziato, un approccio a trattare le questioni caratterizzato dalla volonta’ di ascolto di tutte le parti, in un momento assai difficile per il Paese”.

Si apre dunque un nuovo capitolo che darò la possibilità di continuare in un’ottica di confronto costruttivo nell’interesse di tutto il comparto.

 

L’ardua e tortuosa via del sistema previdenziale delle professioni.

A circa un anno dalla comparsa del virus Covid19 le conseguenze che la perdurante pandemia ha prodotto, prossima ad oggi ai cento milioni di contagiati e più di due milioni di morti, sono terribili su molteplici piani.

Il primo è quello sanitario: la necessità di permettere la tenuta dei differenti sistemi sanitari a fronte dell’esplosione del contagio ha imposto l’interrogarsi sull’efficacia dei modelli adottati in ogni angolo del mondo, relativamente al diritto della tutela della salute. Non pochi sono stati i limiti che improvvisamente si sono mostrati in tutta la loro complessità in merito a un diritto che negli anni, come molti altri, si è dovuto uniformare  alle condizioni derivanti dalla logica del profitto.

Una logica e un modello di sviluppo investiti in pieno dalle altre conseguenze derivanti dal contagio: la contrazione derivante dall’aver dovuto tirare il freno a mano a un’economia globale ormai capillarmente connessa, porterà un carico di effetti che quasi certamente determinerà trasformazioni e sbocchi irreversibili.

Il terzo livello di impatto, finora troppo poco approfondito, è quello umano. Il contraccolpo psicologico che ognuno di noi ha subito in questi difficili mesi necessiterebbe il prima possibile maggior cura e maggior attenzione, andando a recuperare dinamiche collettive e solidali che forse, con troppa leggerezza, sono state abbandonate preferendo un consolidamento di logiche improntate ad un smisurato individualismo. Ogni attività umana è stata, e lo sarà ancora a lungo, condizionata dalla comparsa di questa particella infettiva di dimensioni submicroscopiche chiamata Covid 19.

Al netto dell’urgenza di mettere in atto tutte le misure necessarie al contenimento nell’immediato degli effetti che i tre livelli di effetti sopra elencati hanno prodotto, è anche il momento di interrogarsi su quello che comporterà d’ora in avanti ripianificare e riprogrammare le proprie prospettive, individuali e collettive. Credere che il Covid19 si possa superare unicamente gestendo l’emergenza per poi ristabilire, in un modo o nell’altro, gli status quo antecedenti alla pandemia sarebbe ingannevole e illusorio.

C’è un aspetto che certamente il coronavirus ha mostrato senza nessuna gentilezza: i limiti e gli esiti di scelte, approssimative e di corto respiro, poste in essere perlomeno negli ultimi vent’anni.

Dai percorsi assunti per l’edificazione dell’Unione Europea, il non aver contenuto le spinte esclusiviste del capitalismo globalizzato che ha accentuato disuguaglianze e disparità, l’aver prodotto riforme con orizzonti minimi, fino ad arrivare alla struttura stessa dei patti sociali alla base delle democrazie occidentali, dati troppo spesso per scontati, sono tutti elementi che pericolosamente stanno vacillando sotto i colpi di una quotidianità che non riesce più a essere decifrata come fatto finora.

Per quanto spetta a questa Organizzazione, come già affermato in passato, non mancherà il contributo di idee e di progettazione di un futuro che al momento assume contorni indefiniti e assai foschi.

Se, come sembra essere ormai abbastanza evidente, il Covid sta mettendo a rischio la tenuta del Patto sociale alla base di ogni  comunità, stato o nazione, è necessario interrogarsi relativamente alle scelte da compiere il prima possibile al fine di tutelare la tenuta di sistema, soprattutto per le prossime generazioni.

La mole di accelerazioni imposte dal combinato disposto dei processi innescati dalla fine del mondo a blocchi, il superamento di sistemi economici di stampo pubblicistico, l’avvento della globalizzazione ed infine l’ormai imminente passaggio dalla “terza” alla “quarta” rivoluzione industriale, ed infine la pandemia, stanno riconfigurando il quadro generale in tutte le sue complesse implicazioni economiche e sociali. L’esigenza di sostentare un modello basato su sviluppo e crescita si sta oggi drammaticamente scontrando con il rischio di vedere lacerati gli indispensabili legami sociali sottintesi al modello stesso.

Da anni è in atto una complessiva ridefinizione dello sviluppo del lavoro, in tutte le sue accezioni, costretta tra il tramonto di un’idea passata, che conosciamo, e un’alba che ancora non è arrivata e quindi resta sconosciuta. A questo si aggiunga, anch’essa in atto da anni, una trasformazione sostanziale del processo di accumulazione ed investimento del capitale, legato essenzialmente alla variazione generalizzata dei sistemi previdenziali, passati da sistemi retributivi a sistemi contributivi. Una gestione che in via diretta come primo pilastro o indiretta, come secondo, è passata dal monopolio pubblico a sistemi privati o misti pubblico-privato. Il passaggio della gestione da pubblica a privata, è quello che ha contraddistinto la trasformazione della tutela previdenziale dei liberi professionisti nel nostro Paese. Una trasformazione avviata normativamente con la Riforma del sistema previdenziale forense (L. 576/80) seguita da una successiva serie di leggi che hanno spostato l’asse dei regimi previdenziali dalla mutualità alla solidarietà. E’ su queste basi legislative che si è eretta, nella seconda metà degli anni novanta, la c.d. privatizzazione delle casse previdenziali dei liberi professionisti, ovvero la loro variazione in persone giuridiche di diritto privato. Un assetto, quello delineato con i decreti legislativi 509/94 e 103/96, ancora oggi sussistente e che, a parte gli interventi del governo Monti diretti a garantire l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche, non ha mai visto interventi di riforma a largo raggio volti a definire in maniera più specifica la funzione delle Casse di previdenza, rendendo davvero compiuto il processo di privatizzazione. Un iter di trasformazione che non essendo mai stato effettivamente concluso e consolidato, espone quello che dovrebbe essere un comparto, ma che in realtà non lo è mai stato, a continue oscillazioni dagli esiti non scontati. Una genesi normativa e la successiva unica riforma strutturale (2011) sicuramente viziate entrambe dalle condizioni contingenti, caratterizzate da una grave crisi economico-finanziaria ed anche istituzionale. Probabilmente se negli anni il Legislatore, ma anche i diretti interessati, avessero interpretato quella trasformazione che progressivamente si stava manifestando (la riduzione delle platee contributive, il radicale mutamento del mercato del lavoro e quello subito da alcune professioni, il sempre più difficile accesso alla libera professione, il calo demografico e il decremento di laureati) operando un cambiamento radicale di visione, oggi le oscillazioni sarebbero minime e la tentazione, sempre in agguato, di gettare il bambino e l’acqua sporca, non avrebbe ragion d’essere.

Il caso dell’Ente di Previdenza dei Giornalisti (INPGI) da qualche tempo rappresenta la sintesi di criticità che solo chi non vuole vedere, o è in malafede, può considerare come episodiche o esclusive. Oggi, a fronte delle molteplici e complesse necessità imposte dal Covid, e da tutto quello che non è stato fatto prima, la crisi che sta affrontando l’Inpgi, a nostro parere, dovrebbe essere l’occasione per una profonda riforma dell’intero comparto della Previdenza Privata, rendendo compiuto finalmente quel percorso iniziato ormai circa venticinque anni fa. Con un impostazione che vada al di là del semplice mantenimento dello status quo o della risoluzione del singolo caso. Ritenere che soluzioni estemporanee, e non ragionate, applicate al singolo caso in essere, preservino da prossimi casi simili vorrebbe dire perseverare nell’adottare visioni miopi e di corto respiro.

E’ necessario che l’intero sistema sia riformato.

Anche al fine di renderlo aderente a quella funzione che, nel drammatico anno appena trascorso, ha visto le Casse Previdenziali allontanarsi sempre di più dalla mera previdenza per una attività assistenziale più articolata di Welfare integrato.

Il Sistema delle Casse Previdenziali, così concepito dal legislatore, nel prossimo futuro paleserà un’insita debolezza strutturale: un rischioso concentramento del rischio perché ogni realtà professionale è distinta e svincolata dalle altre. Sarebbe necessario porre le basi per la transizione da un modello basato su singole realtà previdenziali, rigido e poco elastico, a un effettivo Polo della Previdenza delle Professioni, flessibilmente immune alle dinamiche specificatamente corporativistiche, e capace di ammortizzare le oscillazioni e le evoluzioni del mercato del lavoro delle professioni, raccordando le diverse realtà professionali. Tale da introiettare, assorbendoli, gli effetti del combinato disposto derivante dal principio generale della gestione a ripartizione che, unito alle contrazioni di questa o quella platea contributiva, innescheranno sempre più spesso il tema della sostenibilità di questa o di quella Cassa Previdenziale. Se il sistema a ripartizione deve continuare ad essere il principio ispiratore del primo pilastro previdenziale, almeno in via prioritaria, allora è necessario, al fine della maggiore condivisione e contenimento del rischio,  salvaguardando la natura privatistica del Comparto, la costruzione di una sorta di mutualità nel sistema previdenziale privatizzato che compenserebbe le difficoltà di un settore, o una specifica attività professione. Un organismo in grado di fornire un’assistenza focalizzata sulla capacità lavorativa del libero professionista, che vada dal sostegno economico fino all’assistenza strategica, che abbracci l’intero arco professionale: dal periodo post universitario, alla formazione, all’acquisizione di competenze specialistiche tali da affrontare momenti di transito lavorativo (cambio di attività, disoccupazione). Che sia in grado di riscoprire il valore etico delle professioni e le naturali differenze strutturali tra esse. Con una necessaria revisione della fiscalità che sia in linea con il livello europeo, prevedendo anche una fiscalità di scopo che possa dare gambe alla ripresa dei vari mercati professionali, o che sia capace di ammortizzare, per quanto di competenza, eventuali collassi degli stessi. In cui si sviluppi una nuova generazione sia di lavoratori che di amministratori, in cui si superi una contrapposizione stantia che vede messe di fronte l’una all’altra due visioni che non hanno più ragion d’essere, dove da una parte c’è chi vorrebbe l’assoluto arbitrio di trattare il Personale dipendente secondo criteri ottocenteschi e retribuirlo senza nessuna considerazione delle professionalità dimostrate, e chi dall’altra, a fronte di extra tutele vorrebbe retribuzioni di privilegio. Una realtà capace di accettare i benchmark conseguenti da una condizione di esercizio monopolistico di una funzione pubblicistica, che necessariamente, non può limitarsi alla semplice approvazione dei bilanci.

La previdenza privata va difesa. Ma per farlo deve essere riformata.

Se ciò non accadrà, se il coraggio che solo nei momenti di crisi come questo deve svelarsi lascerà il passo alle sterili difese delle rendite di posizione di stampo corporativo avulse da ogni tipo di consapevolezza, allora l’inutile deriva  demagogica, dalla indubbia capacità affabulatrice, guiderà, ancora una volta, i percorsi.

Pierluigi Sernaglia

CNEL: la Repubblica Italiana è ancora fondata sul lavoro?

Il XXII Rapporto sul Mercato del lavoro e la contrattazione del CNEL presentato nella mattinata di oggi, in collegamento telematico, di fatto pone un interrogativo estremamente complesso:  ha ancora senso l’articolo uno della Costituzione della nostra Repubblica?

Nel corso dell’assemblea tematica presieduta dal Presidente Tiziano Treu interverranno la Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, Nunzia Catalfo, e il Direttore per l’occupazione e il lavoro presso l’OCSE Stefano Scarpetta. Gli argomenti e i temi trattati nel Rapporto 2020 alimentano il dubbio che il fondamento del nostro Stato non risieda più nel lavoro e nell’occupazione, e forse non è un caso se proprio il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, l’organo di rilievo costituzionale spesso ingiustamente mostrato come Ente inutile, ponga l’accento su un’emergenza che, forse, andrebbe trattata con maggiore interesse.

A partire dall’occupazione giovanile, con 2 milioni giovani che non studiano e non lavorano, passando a quella femminile, con quasi una donna su due inoccupata, condizione ulteriormente aggravata durante la pandemia con un sovraccarico del lavoro familiare causato dalla chiusura delle scuole, la condizione occupazionale che viene descritta rischia di aumentare ulteriormente disuguaglianze sociali già da tempo presenti.

La didattica a distanza avrà probabilmente contenuto il tasso di contagi da Covid-19, ma ha quasi certamente fatto aumentare quello della dispersione scolastica, condizionando i percorsi formativi di migliaia di future lavoratrici e lavoratori.

L’emergenza è ricaduta violentemente su dodici milioni di lavoratori, tra dipendenti e autonomi, che hanno visto la propria attività lavorativa sospesa o ridotta. Nemmeno il fronte dei contratti di lavoro vede luci: ad oltre 10 milioni di lavoratori (77,5% del totale) non è stato rinnovato il contratto. Il valore più basso degli ultimi 20 anni.

Il combinato disposto determinato dal Covid e dai provvedimenti adottati per contrastare l’emergenza sanitaria ha modificato profondamente l’andamento del mercato del lavoro e, con l’indispensabile ricorso al lavoro agile, la stessa prestazione lavorativa, modificando tempi e luoghi delle attività umane.

La prossima interruzione della cassa integrazione e la fine del blocco dei licenziamenti rischia di innescare processi di frizione sociale dagli esiti difficilmente prevedibili.

Una fotografia che imporrebbe, accanto alle politiche di contenimento dell’emergenza messe in atto finora, di progettare una strategia in grado di immaginare prospettive di ripresa sociale tali da superare i colpi sotto i quali l’attuale modello di sviluppo sta cedendo, e di immaginarne uno del tutto nuovo che possa vedere garantito alle nuove generazioni quel patto sociale che altrimenti rischia di non essere più rispettato.

Uno sforzo che non può che essere collettivo, serio e responsabile che vada al di là del mero ripristino delle condizioni antecedenti alla pandemia, ma che sia in grado di generare una complessità di processi virtuosi che ammortizzino l’impatto di un debito pubblico senza controllo, della bassa natalità e della minima presenza degli under 35 nel sistema produttivo italiano.

Pierluigi Sernaglia

ENPAV: firmato il rinnovo del contratto integrativo aziendale.

Si è conclusa con successo lo scorso 30 dicembre, la contrattazione per il rinnovo del Contratto Integrativo Aziendale presso l’ENPAV, l’Ente di previdenza e assistenza dei veterinari, iniziata il 12 novembre scorso.

Il rinnovo del CCNL, avvenuto un anno fa, ha dato l’impulso per il confronto tra le parti con l’obiettivo di raggiungere il rinnovo del contratto di secondo livello, fermo ormai da circa dieci anni.

Il clima della contrattazione è stato inevitabilmente condizionato dal difficile momento che ormai da tempo sta vivendo il Paese, momento reso ancor più complicato dalla pandemia contro la quale stiamo combattendo da oltre un anno. In quest’ottica va letta anche la necessità di disciplinare lo Smart Working, al di là della circostanza di urgenza applicata dai DPCM che si sono succeduti. Proprio per sottolineare l’importanza di questo nuovo strumento che offre lettura diversa sul modo di pensare il lavoro, si è concordato con la Direzione Enpav di aprire un tavolo specifico nel corso dei prossimi mesi.

Accanto allo Smart Working, nei prossimi incontri verranno discussi anche altri importanti istituti che necessitano di essere rinnovati, tra cui il Welfare e in particolare, la Previdenza complementare, ferma ormai al 2003 e con urgenza di un adeguamento non più rimandabile.

In questa fase va innanzitutto posto l’accento sull’importanza rivestita dalla contrattazione, che dopo un lungo periodo di immobilità, è tornata a recitare il ruolo che le spetta, nella costruzione di un sistema di relazioni industriali che hanno come obiettivo l’adeguamento e il miglioramento delle condizioni in essere dei dipendenti.

CISL FP – ENPAV