CNEL: la Repubblica Italiana è ancora fondata sul lavoro?

Il XXII Rapporto sul Mercato del lavoro e la contrattazione del CNEL presentato nella mattinata di oggi, in collegamento telematico, di fatto pone un interrogativo estremamente complesso:  ha ancora senso l’articolo uno della Costituzione della nostra Repubblica?

Nel corso dell’assemblea tematica presieduta dal Presidente Tiziano Treu interverranno la Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, Nunzia Catalfo, e il Direttore per l’occupazione e il lavoro presso l’OCSE Stefano Scarpetta. Gli argomenti e i temi trattati nel Rapporto 2020 alimentano il dubbio che il fondamento del nostro Stato non risieda più nel lavoro e nell’occupazione, e forse non è un caso se proprio il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, l’organo di rilievo costituzionale spesso ingiustamente mostrato come Ente inutile, ponga l’accento su un’emergenza che, forse, andrebbe trattata con maggiore interesse.

A partire dall’occupazione giovanile, con 2 milioni giovani che non studiano e non lavorano, passando a quella femminile, con quasi una donna su due inoccupata, condizione ulteriormente aggravata durante la pandemia con un sovraccarico del lavoro familiare causato dalla chiusura delle scuole, la condizione occupazionale che viene descritta rischia di aumentare ulteriormente disuguaglianze sociali già da tempo presenti.

La didattica a distanza avrà probabilmente contenuto il tasso di contagi da Covid-19, ma ha quasi certamente fatto aumentare quello della dispersione scolastica, condizionando i percorsi formativi di migliaia di future lavoratrici e lavoratori.

L’emergenza è ricaduta violentemente su dodici milioni di lavoratori, tra dipendenti e autonomi, che hanno visto la propria attività lavorativa sospesa o ridotta. Nemmeno il fronte dei contratti di lavoro vede luci: ad oltre 10 milioni di lavoratori (77,5% del totale) non è stato rinnovato il contratto. Il valore più basso degli ultimi 20 anni.

Il combinato disposto determinato dal Covid e dai provvedimenti adottati per contrastare l’emergenza sanitaria ha modificato profondamente l’andamento del mercato del lavoro e, con l’indispensabile ricorso al lavoro agile, la stessa prestazione lavorativa, modificando tempi e luoghi delle attività umane.

La prossima interruzione della cassa integrazione e la fine del blocco dei licenziamenti rischia di innescare processi di frizione sociale dagli esiti difficilmente prevedibili.

Una fotografia che imporrebbe, accanto alle politiche di contenimento dell’emergenza messe in atto finora, di progettare una strategia in grado di immaginare prospettive di ripresa sociale tali da superare i colpi sotto i quali l’attuale modello di sviluppo sta cedendo, e di immaginarne uno del tutto nuovo che possa vedere garantito alle nuove generazioni quel patto sociale che altrimenti rischia di non essere più rispettato.

Uno sforzo che non può che essere collettivo, serio e responsabile che vada al di là del mero ripristino delle condizioni antecedenti alla pandemia, ma che sia in grado di generare una complessità di processi virtuosi che ammortizzino l’impatto di un debito pubblico senza controllo, della bassa natalità e della minima presenza degli under 35 nel sistema produttivo italiano.

Pierluigi Sernaglia