La scorsa settimana la notizia della vaccinazione del Presidente Mattarella è stata riportata da tutti i media. Al di là degli aspetti strettamente connessi alla vicenda sanitaria è stato sottolineato come il Presidente abbia esercitato il suo ruolo, anche in questa occasione, con grande senso dello Stato dopo che nel discorso di fine anno aveva annunciato che si sarebbe vaccinato appena possibile, riconoscendo la dovuta precedenza a quelle categorie a rischio maggiore di contagio. Una scelta di responsabilità, un dovere, esercitato senza approfittarsi della funzione che ricopre e con la giusta condotta che spetta, o dovrebbe spettare, a chi ricopre incarichi di guida.
Proprio come recita l’art. 54 della nostra Costituzione Repubblicana: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.”
In un tempo particolarmente duro come quello che stiamo tutti vivendo, figure come quelle del Presidente della Repubblica, indicano, senza clamore, quali devono essere gli aspetti comportamentali e di serietà professionale che sono fondamentali nell’esecuzione di una funzione pubblica, che non può esaurirsi nel puro e semplice espletamento di un compito.
Ma il dettato costituzionale è da riferirsi solo alle alte cariche dello Stato? Quel richiamo alla disciplina, al senso di responsabilità è davvero da declinarsi solo se si ricoprono incarichi come quello ricoperto da Sergio Mattarella?
Probabilmente la profonda riflessione che il Covid ha imposto ad ognuno di noi nella sua dimensione personale e collettiva, ci dovrebbe far interrogare anche su aspetti come questo, sul come viviamo, su come interagiamo nelle nostre comunità. E quel senso del dovere, nell’esercizio attento delle funzioni ricoperte, andrebbe verificato. Nel nostro essere cittadini, innanzi tutto. Nel nostro essere padri e madri di famiglia. E per quanto attiene alla sfera lavorativa nel nostro compiere quotidianamente il nostro dovere di lavoratrici e lavoratori. Perché è anche su questo che si misura la tenuta delle comunità a cui apparteniamo. E più è rilevante la funzione svolta, più deve essere attento e responsabile l’esercizio della stessa. Il rischio che si corre, quando si esercita una funzione di vertice, se non si prende sul serio coscienza delle responsabilità che questa comporta, è quello di confondere autorevolezza con esercizio arrogante dell’autoritarismo, e quando si confondono questi due concetti, mostrando solo i gradi, ci si trasforma in caporali di giornata.
Ma i caporali di giornata non sono quelli che guidano le comunità, sono graduati incaricati di sovrintendere alle pulizie e all’ordine dei locali della propria compagnia. Una comunità guidata da un caporale di giornata sarà impoverita, divisa, fragile fino a venirne distrutta.
Parafrasando don Mariano Arena, ne “Il giorno della Civetta” di Leonardo Sciascia, l’umanità, a maggior ragione in questo drammatico periodo storico, non ha bisogno di ominicchi, che sono come i bambini che si credono grandi, e tantomeno di quaquaraquà, ha bisogno di uomini, responsabili e capaci di ricoprire gli incarichi che ricoprono.
P.ERRE