Dallo Smart Working emergenziale alla riforma della legge 81/2017.

Ad ormai due anni dal lockdown che fu imposto per contenere i contagi da Covid19 è un dato di fatto che la legge 81/2017 (Misure per favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato) fu un ottimo strumento per coniugare le attività produttive, con la necessità di ridurre al minimo gli spostamenti, le interazioni e quindi le occasioni di contagio. Il presupposto che portò al varo della legge 81 però, fu la possibilità di agevolare la conciliazione dei tempi di  vita e di lavoro, di fatto svincolando il lavoratore dipendente, a determinate condizioni, dalla presenza fisica presso il luogo di lavoro. Su questo presupposto alla luce dell’emergenza venutasi a creare con la pandemia, fu possibile adattare alle mutate esigenze, quel testo legislativo. Spesso infatti si è sottolineato che quello introdotto in regime di pandemia fosse più una modalità affine al telelavoro più che a quanto venne stabilito fosse il regime di lavoro agile.

Con la fine dello stato di emergenza sarà necessario adeguare il testo alla mutata realtà del Paese.

Col decreto legge approvato in Consiglio dei Ministri la scorsa settimana di fatto si proroga di ulteriori tre mesi il regime di applicazione delle norme relative allo Smart Working emergenziale, benché lo stato di emergenza nazionale termini a fine marzo, soprattutto in relazione alle modalità di applicazione estremamente semplificate in confronto a quelle previste in regime ordinario. Si pensi per esempio alla possibilità di disporre lo svolgimento del lavoro agile in maniera unilaterale, senza necessità del consenso del dipendente e con procedure amministrative estremamente semplificate.

Ovviamente tra gli elementi che hanno modificato, e stanno modificando, il quadro generale di riferimento ci sono i protocolli, gli accordi e le regolamentazioni che nel frattempo sono intervenute, dalla Pubblica Amministrazione, al Comparto del lavoro Privato fino ad arrivare, per il sistema delle Casse Previdenziali, a quelle che hanno finora proceduto alla sottoscrizione di accordi collettivi con le Organizzazioni Sindacali.

Ciò significa che da qui a giugno chi avrà proceduto con la regolamentazione dello Smart Working procederà, al netto delle proroghe decise dal CdM, con la propria regolamentazione, chi non l’ha fatto avrà tempo fino al prossimo trenta giugno per procedere. Dal primo luglio infatti laddove non fossero intervenuti protocolli o accordi si tornerà a quanto stabilito dal dettato normativo della legge 81/2017.

Almeno finché l’iter legislativo, già in stato avanzato, del  nuovo testo unico sul lavoro agile non sarà concluso.

Il punto centrale della riforma sarà il superamento dell’Accordo individuale, quale unica fonte di disciplina e organizzazione della modalità agile di esecuzione del lavoro, ricorrendo allo strumento della contrattazione collettiva. Tra gli altri punti, per quanto è dato conoscere dalla relazione illustrativa, c’è la quota minima di ore svolte a distanza per poter  parlare di smart working, una quota fissata al 30% delle ore totali; la responsabilità del datore di lavoro e del lavoratore per quanto attiene alla sicurezza e al buon funzionamento degli strumenti tecnologici; la priorità per le richieste di lavoro in modalità agile presentate dai lavoratori in condizioni di disabilità e dai lavoratori al termine del congedo di maternità.

Il contratto collettivo dovrebbe garantire anche l’equiparazione di trattamento economico e giuridico del personale in modalità agile e del personale in presenza, comprendente anche la tutela dello sviluppo delle opportunità di carriera. È affidato inoltre al contratto il chiarimento delle misure organizzative per garantire il diritto alla disconnessione, diritto che vale per il lavoratore in presenza che per quello in remoto. Inoltre la bozza di riforma prevede che l’accordo per il lavoro agile può essere a termine o a tempo indeterminato.

 

Arturo Bandini