Lavorare meno per lavorare meglio.

La scorsa settimana il primo ministro belga Alexander De Croo, ha annunciato un pacchetto di riforme riguardanti il mercato del lavoro, tra queste grande risalto ha suscitato la riduzione della settimana lavorativa di un giorno. I lavoratori dipendenti a tempo pieno potranno ridurre la settimana lavorativa,  aumentando la propria flessibilità, libertà, e per coloro che hanno figli una maggior tutela della genitorialità. La variazione dell’orario di lavoro, che necessita comunque di un accordo che modifichi il contratto collettivo, può essere rinnovata o revocata ogni sei mesi. Tecnicamente più che una riduzione è una redistribuzione su quattro giorni dell’orario di lavoro, dato che verrà mantenuta la settimana lavorativa di 38 ore, aspetto questo, sottolineato criticamente dalla Ministra per l’Ambiente, Zakia Kathabbi, e dalla  Federazione Generale del Lavoro Belga, tra le Organizzazioni Sindacali più rappresentative. Oltre alla riduzione di un giorno della settimana lavorativa, il Governo guidato da De Croo ha introdotto anche “il diritto alla disconnessione” al fine di permettere un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata. Misure che, stando a quanto dichiarato dal Primo Ministro, hanno l’obiettivo di rafforzare le persone e le imprese. Il Belgio si inserisce tra quei paesi che hanno deciso di sperimentare una riduzione dell’orario di lavoro come la Scozia, in cui l’orario è ridotto del venti per cento a parità di salario, o la Spagna che ha rimodulato l’orario settimanale a trentadue ore. Sperimentazioni simili sono state avviate anche in Giappone ed Emirati Arabi.

Al momento l’esperimento più riuscito è quello islandese: tra il 2015 e il 2019 il consiglio comunale di Reykjavík e il governo nazionale, hanno avviato una sperimentazione che ha coinvolto più di 2.500 lavoratori, pari a circa l’1% della popolazione attiva islandese, che in una serie di luoghi di lavoro, tra cui scuole materne, uffici, fornitori di servizi sociali e ospedali, hanno sperimentato una riduzione dell’orario lavorativo a quattro giorni a settimana a parità di salario. L’idea è stata concepita per verificare empiricamente gli effetti che si sarebbero prodotti sul benessere complessivo dei lavoratori e sulla produttività, misurando lo stress percepito, il burnout, in una rimodulazione dell’equilibrio tra vita privata e lavoro. La riduzione dell’orario di lavoro di un giorno a settimana è stata armonizzata ad una profonda riorganizzazione dei processi lavorativi: dal taglio dei compiti inutili, a riunioni più brevi e, nel caso di particolari comparti come quello sanitario, ricorrendo all’assunzione di nuove persone per compensare le ore perse. La sperimentazione, i cui risultati sono stati analizzati dal Centro Studi indipendente inglese Autonomy, ha confermato le previsioni: l’aumento della soddisfazione e del benessere dei lavoratori interessati ha determinato un aumento della produttività (qui lo studio che ha analizzato il test https://autonomy.work/portfolio/icelandsww/).

A giudicare dai risultati prodotti perciò, le misure che, per usare l’espressione del Premier Belga De Croo, rafforzano le persone, rafforzano anche le imprese, in termini di produttività, efficienza e efficacia dei servizi offerti.  Una riproposizione aggiornata e moderna del pensiero di Robert Owen che, più di due secoli fa in Inghilterra,  dimostrò che un lavoratore felice e soddisfatto rende meglio di un lavoratore oppresso e sfruttato.

Se queste sperimentazioni si analizzano in combinato disposto con il fenomeno del burnout lavorativo (https://www.cislcasse.it/2021/12/03/ripensare-lorganizzazione-del-lavoro-nellera-post-covid/) appare chiaro che la sfida che si pone per il Sindacato e per le Amministrazioni è quella di coniugare aumenti della produttività, del miglioramento dei servizi, a un effettivo miglioramento della qualità della vita del lavoratore, un traguardo comune da raggiungere insieme, in un confronto tra le parti da realizzare sui tavoli di contrattazione, che permetta di scrivere Contratti di lavoro di grande respiro e prospettiva, lasciandosi alle spalle, definitivamente, dinamiche fantozziane superate dalla storia.

Il prossimo rinnovo del CCNL delle Casse Previdenziali (Triennio 2022-2024) potrebbe essere un’occasione per cogliere questa sfida, in cui confrontarsi, anche aspramente, su tematiche come la regolamentazione del Lavoro Agile non più emergenziale e il conseguente diritto alla disconnessione, su come realizzare misure di aumento della produttività armonizzandole al miglioramento dell’equilibrio tra lavoro e vita privata, senza dimenticare la necessaria revisione della struttura retributiva anche alla luce degli effetti inflattivi conseguenti alle modifiche del quadro macroeconomico. Un pacchetto di provvedimenti che rafforzi i lavoratori delle Casse per migliorare, ancora di più, i servizi offerti ai professionisti.

E in questo quadro sarebbe davvero motivo di grande soddisfazione per tutti gli attori verificare le condizioni per tentare di avviare nel Sistema delle Casse Previdenziali, la cui platea di lavoratori è di fatto numericamente omogenea a quella analizzata nel test islandese, la sperimentazione della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

Anticipando tutti gli altri comparti del Paese su un tema che non è più da stabilire se entrerà nel dibattito, ma quando.

Arturo Bandini

Il IX rapporto di Itinerari Previdenziali analizza il Sistema Previdenziale Italiano dopo il Covid.

Nella prestigiosa cornice offerta dalla Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”, messa a disposizione grazie all’iniziativa del Sen. Puglia, già Presidente della Commissione di vigilanza sugli Enti Previdenziali, nella giornata di ieri è stato presentato il IX Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.

Dalla cessazione delle attività che svolgeva il Nucleo di Valutazione della Spesa Previdenziale (Nuvasp) istituito dalla legge n. 335/1995 (riforma Dini) nel 2011, l’attività di monitoraggio e controllo delle curve demografiche, dei confini tra spesa previdenziale e spesa assistenziale, nonché le ricadute delle oscillazioni dei mercati del lavoro, sono da anni oggetto delle analisi prodotte da Itinerari Previdenziali.

Il dettagliato quadro annuale del complesso sistema pensionistico e assistenziale italiano ovviamente quest’anno ha mostrato le profonde conseguenze generate dalla pandemia a cominciare dal risparmio di circa un miliardo prodotto dall’eccesso di mortalità per Covid «Il 96,3% dell’eccesso di mortalità registrato nel 2020 – si legge nel rapporto – ha riguardato persone con età uguale o superiore a 65 anni, per la quasi totalità pensionate. Considerando per compensazione l’erogazione delle nuove reversibilità, si quantifica in 1,11 miliardi il risparmio, tristemente prodotto nel 2020 dal Covid, e in circa 11,9 miliardi la minor spesa nel decennio». ​

Dopo un trend positivo iniziato nel 2009 per effetto delle riforme previdenziali landamento dei trattamenti di quiescenza nel 2020 è cresciuto per attestarsi a 16 milioni e 41mila senza mostrare la temuta impennata per l’entrata in vigore di quota 100 o per effetto di altri provvedimenti di anticipo pensionistico come l’Ape sociale e Opzione donna.

Fa riflettere il dato delle pensioni ultra quarantennali erogate dall’Inps (circa 476mila pensioni –invalidità, vecchiaia e superstiti), 423mila sono le prestazioni che riguardano il settore pubblico e 53.274 quelle riguardanti il settore privato, quasi totalmente afferenti al superato sistema retributivo. La contrazione dell’occupazione, meno 570mila occupati (gli occupati sono 22,8 milioni), incide sul rapporto attivi/pensionati (valore fondamentale per la tenuta del sistema pensionistico) che flette a 1,42, pericolosamente vicino all’1,5 considerato il punto limite per lastabilità del sistema pensionistico. Nelle considerazioni relative agli effetti che saranno prodotti dal Pnrr, il Rapporto prevede che tale indice sarà oggetto di un’inversione di tendenza. Auspicio di molti.  

Nel quadro relativo alla spesa per l’assistenza e welfare (144 miliardi di euro) che rappresenta il 30% del Pil italiano finanziato dal 65% delle entrate contributive e fiscali dello Stato, Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, segnala il paradosso rappresentato dall’aumento della spesa assistenziale, cresciuta del 56% in meno di dieci anni e che si attesta attorno ai 145 miliardi, inspiegabilmente corrispondente al raddoppio dei cittadini in povertà assoluta sono raddoppiati e una crescita del 36% di quelli in povertà relativa. Il modello italiano basato su distribuzione di sussidi – la conclusione di Brambilla- evidentemente non funziona, e probabilmente, sempre secondo il suo parere, sarebbe opportuno immaginare la separazione dei sistemi di previdenza e assistenza.

Numerosi gli attori istituzionali che hanno partecipato alla presentazione del IX rapporto: il  sottosegretario Tabacci ha inviato un video messaggio, il Ministro Gelmini, i senatori De Bertoldi, Nannicini, attuale presidente della Commissione bicamerale di vigilanza e il suo predecessore Sergio Puglia.

Molti tra questi hanno sottolineato il ruolo di supplenza che questo rapporto svolge da anni dopo la cessazione del Nucleo di Valutazione.

Nannicini ha evidenziato la necessità di mantenere una sostenibilità economica per reggere l’impatto dell’invecchiamento demografico, anche mediante una regolamentazione dei flussi migratori, per garantire più equità in modo mirato e per categorie. Sottolineando anche che  scuola, lavoro e pensione devono essere trattati in via armonica e non separatamente.

Sergio Puglia, ex Presidente della Commissione di Vigilanza, ha illustrato l’opportunità di collegare gli investimenti a lungo termine delle risorse delle casse privatizzate in settori come quello della ricerca, o delle PMI, adeguando la tassazione italiana sui rendimenti e sulle prestazioni a quella dei Paesi europei, al fine di creare un circolo virtuoso del Sistema Paese nel suo complesso.

Per ulteriori approfondimenti: https://www.itinerariprevidenziali.it/site/home/eventi/eventi-2022/nono-rapporto-sul-bilancio-del-sistema-previdenziale-italiano.html

Arturo Bandini

ENASARCO – Accordo per la proroga del CIA ed avvio trattative per il rinnovo

Il Consiglio di Amministrazione della Fondazione, nella seduta del 2 febbraio scorso, ha deliberato all’unanimità di ratificare l’ipotesi di accordo di proroga del Contratto Integrativo Aziendale sottoscritto dalle RSA CISL FP, FP CGIL, Cisal e Dirpubblica. Contestualmente, il CdA ha altresì deliberato di avviare, nel più breve tempo possibile, le trattative per il rinnovo del CIA.

Di seguito il comunicato divulgato in data odierna al personale della Fondazione Enasarco ed il testo dell’accordo

ComunicatoCIA

AccordoProrogaCIA

ENASARCO – Contratto Integrativo Aziendale

Nel quadro del ritorno alla normalità sancito con la composizione del nuovo Consiglio di Amministrazione, insediatosi il 25 Gennaio scorso, in vista della prossima seduta prevista per domani, è stato distribuito al personale Enasarco, da parte delle  RSA CISL FP, FP CGIL, Cisal e Dirpubblica il seguente Comunicato dove si auspica che si possa da subito deliberare la proroga del Contratto Integrativo Aziendale e ripristinare così tutti gli istituti economici che sono stati sospesi nelle retribuzioni di Gennaio.

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