Cislcasse si stringe attorno alla famiglia, agli amici e ai colleghi di Pietro Manetta, scomparso oggi.

Pietro era un nostro iscritto.
Di seguito pubblichiamo un ricordo di Elio Ferrara, suo collega e amico.

Il Covid ci ha portato via per sempre Pietro, aveva compiuto 55 anni neanche un mese fa.

Nella cronaca giornaliera e’ un numero nella moltitudine di persone che ne se stanno andando in silenzio e in solitudine.

Per noi era un amico sincero, un collega sempre pronto a mettersi in gioco con la sua leggerezza napoletana che agli occhi di qualcuno poteva sembrare superficialita’ ma era di un acutezza e sensibilta’ disarmante e con cui potevi parlare di tutto.

Appassionato di cultura, musica, teatro, di passione calcistica, della sua bella Napoli di oggi e di ieri, anche di belle donne aime’, di apertura verso il prossimo sempre con il sorriso, e non ultimo di lavoro con professionalita’ esemplare e sempre prodigo di consigli per tutti.

Aveva qualche difetto? si ne aveva come tutti noi. Aveva le sue debolezze e i suoi demoni e cercava di combatterli con onesta’ e impegno e rispetto per il prossimo. Lo definirei un buono, che non vuol dire fesso , dal cuore enorme e amante della vita. Punto di riferimento per tanti di noi.
Un padre esemplare, un fratello e figlio riconoscente.

Perdiamo un punto di riferimento e quella spensieratezza e allegria che da un anno a questa parte ci e’ stata portata via ma che lui in ufficio ti faceva dimenticare con sorriso e ironia.

Anche nelle giornate piu’ buie del ricovero parlavamo della sua passione del calcio Napoli che ci faceva penare e far star male, che molti non capiscono ma che per noi era pure passione.

La morte porta dolore e sofferenza . Ci si domanda perche’ Dio non interviene . Dove’? Perche’? Domande che ci facciamo tutti.
La risposta che mi do e che questi sentimenti servono ad ognuno di noi per darci forza e coraggio di non temere e che non ci lascera’ soli nella sofferenza e per cambiare i nostri cuori per presentarci un giorno davanti a lui potendo dire di aver sperimentato quella sofferenza che il Signore comprende e capisce per averla vissuta in prima persona sulla croce. Dio e’ vicino alla sofferenza avendo dato se stesso nascosto nella nostra sofferenza.

Per chiuderla in leggerezza Pietro, mi raccomando salutami a Maradona !!!!!!!

CISL CASSE INFORMA – Il secondo numero

Care amiche e cari amici, come annunciato, dal mese scorso abbiamo deciso di avviare un nuovo strumento di informazione per le iscritte e gli iscritti delle Casse Previdenziali: un foglio quindicinale in cui riporteremo brevi notizie relative agli Enti del Comparto.
Oggi è disponibile il secondo appuntamento.

Siamo convinti che la condivisione delle informazioni consenta di avere una visione più completa di quello che accade intorno a noi e sarà l’opportunità di rafforzare la consapevolezza di lavorare in Enti differenti ma integrati nella funzione e nel compito assegnatogli dal Legislatore.

Buona lettura

IL COORDINAMENTO NAZIONALE CISL FP CASSE PREVIDENZIALI

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IL PREMIO DI RISULTATO AI TEMPI DELLO SMART WORKING

L’importanza ed il valore che il premio di risultato da sempre riveste tra gli istituti che il Ccnl demanda al contratto integrativo aziendale, induce, anche alla luce delle significative innovazioni che la pandemia ha comportato nello svolgimento della prestazione lavorativa, a svolgere alcune riflessioni funzionali a valorizzare ed ottimizzare l’istituto in questione adeguandolo  alla sopravvenuta realtà.

Sin dalla sua introduzione il Premio aziendale di risultato ha rivestito una funzione strategica, contribuendo a mantenere elevati livelli di efficienza ed efficacia dell’attività delle Casse, migliorandone progressivamente e costantemente il livello della qualità e dell’ampiezza dei servizi erogati.

In tal senso, il consolidamento di una sua quota, caldeggiato da tempo dalle Organizzazione Sindacali e  finalmente concretizzatosi mediante l’introduzione dell’elemento distinto della retribuzione, altro non è stato che il formale riconoscimento di come solo in virtù di una consistente quota di produttività ormai consolidatasi sia stato possibile, progressivamente, anno dopo anno, individuare in ciascuno degli Enti obiettivi sempre più avanzati che hanno fatto registrare livelli di crescita decisamente apprezzabili.

Non sempre purtroppo, tra i Responsabili delle Unità Organiche si è potuta riscontrare piena capacità  di comprendere il senso ed il valore di tale virtuoso percorso ed ancora oggi si registrano condotte che, soprattutto nella fase di valutazione, tendono  ad utilizzare una leva gestionale strategica allo scopo di fidelizzare a se stessi parte dei propri collaboratori , secondo il mai abbastanza censurato malvezzo di privilegiare la cieca obbedienza rispetto al valore della competenza.

Si tratta di posizioni miopi, destinate ad implodere sotto l’avanzare di nuovi modelli di organizzazione del lavoro che in futuro non potranno che essere sempre più orientati a legare la valutazione della performance, individuale e di gruppo, al raggiungimento di obiettivi sulla cui individuazione preventiva, fattibilità e misurabilità,  altissima dovrà manifestarsi la capacità di osservazione,  vigilanza e proposta da parte delle rappresentanze sindacali.

Ci troviamo in presenza di un processo ormai  avviato ed accelerato dalla necessità di ricorrere ad un uso massivo del lavoro a distanza, le resistenze nei confronti del quale sono state se non travolte fortemente  indebolite dalla necessità di adottare dall’oggi al domani uno strumento essenziale per il contenimento  della pandemia.

Ciò che oggi appare chiaro è che  se l’emergenza ha giustificato e reso accettabile un modello organizzativo più prossimo al telelavoro che non allo smart working in senso stretto, per il definitivo salto di qualità verso la compiuta attuazione di una modalità di lavoro che, investendo nel suo senso di responsabilità consenta al lavoratore di conciliare i tempi di vita e lavoro favorendo al contempo la crescita della produttività, sarà fondamentale  anche  l’adeguamento dei sistemi di misurazione e valutazione della performance alla specificità del lavoro agile.

La trasformazione delle modalità della prestazione lavorativa, dei suoi tempi e delle sue stesse logistiche è irreversibile, ciò impone una sfida a tutte le parti in causa: amministrazioni, lavoratori e sindacati.

Coordinamento nazionale CISL FP Casse Previdenziali

Nasce CISL CASSE INFORMA – Uno strumento in più per rimanere in contatto

Care amiche e cari amici, a partire da questo mese abbiamo deciso di avviare un nuovo strumento di informazione per le iscritte e gli iscritti delle Casse Previdenziali: un foglio quindicinale in cui riporteremo brevi notizie relative agli Enti del Comparto.
Riteniamo che maggiore sarà la possibilità per i dipendenti di avere una visione di quel che accade nelle altre realtà e maggiore sarà l’opportunità di rafforzare la consapevolezza di lavorare in Enti differenti ma integrati nella funzione e nel compito assegnatogli dal Legislatore.
Più costruiremo legami tra le diverse realtà e più contribuiremo a rafforzare il sistema delle Casse Previdenziali.
IL COORDINAMENTO NAZIONALE CISL FP CASSE PREVIDENZIALI

 

Di seguito il file in pdf che potrete stampare ed appendere in bacheca o semplicemente condividere via messaggio

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CISL FP: CAMBIA PRESIDENZA BICAMERALE ENTI GESTORI PREVIDENZA OBBLIGATORIA ‘DA PUGLIA GRANDE IMPEGNO E OTTIMO METODO, PROSEGUIRE NEL SOLCO TRACCIATO’

Cambio di vertice nella Commissione parlamentare per il controllo sull’attività degli Enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, Tommaso Nannicini è subentrato a Sergio Puglia che ricordiamo è stato il primo presidente che ha convocato i sindacati per il rinnovo del contratto.

Andrea Ladogana Coordinatore Nazionale Cisl Fp Casse Previdenziali. ha dichiarato: “Siamo certi che il lavoro svolto in questa parte della legislatura dal Presidente Sergio Puglia alla presidenza della Commissione BICAMERALE di vigilanza sugli Enti gestori, proseguira’ col nuovo presidente Nannicini. Auspichiamo soprattutto che il metodo adottato dal Sen. Puglia sia consolidato e potenziato, un approccio a trattare le questioni caratterizzato dalla volonta’ di ascolto di tutte le parti, in un momento assai difficile per il Paese”.

Si apre dunque un nuovo capitolo che darò la possibilità di continuare in un’ottica di confronto costruttivo nell’interesse di tutto il comparto.

 

L’ardua e tortuosa via del sistema previdenziale delle professioni.

A circa un anno dalla comparsa del virus Covid19 le conseguenze che la perdurante pandemia ha prodotto, prossima ad oggi ai cento milioni di contagiati e più di due milioni di morti, sono terribili su molteplici piani.

Il primo è quello sanitario: la necessità di permettere la tenuta dei differenti sistemi sanitari a fronte dell’esplosione del contagio ha imposto l’interrogarsi sull’efficacia dei modelli adottati in ogni angolo del mondo, relativamente al diritto della tutela della salute. Non pochi sono stati i limiti che improvvisamente si sono mostrati in tutta la loro complessità in merito a un diritto che negli anni, come molti altri, si è dovuto uniformare  alle condizioni derivanti dalla logica del profitto.

Una logica e un modello di sviluppo investiti in pieno dalle altre conseguenze derivanti dal contagio: la contrazione derivante dall’aver dovuto tirare il freno a mano a un’economia globale ormai capillarmente connessa, porterà un carico di effetti che quasi certamente determinerà trasformazioni e sbocchi irreversibili.

Il terzo livello di impatto, finora troppo poco approfondito, è quello umano. Il contraccolpo psicologico che ognuno di noi ha subito in questi difficili mesi necessiterebbe il prima possibile maggior cura e maggior attenzione, andando a recuperare dinamiche collettive e solidali che forse, con troppa leggerezza, sono state abbandonate preferendo un consolidamento di logiche improntate ad un smisurato individualismo. Ogni attività umana è stata, e lo sarà ancora a lungo, condizionata dalla comparsa di questa particella infettiva di dimensioni submicroscopiche chiamata Covid 19.

Al netto dell’urgenza di mettere in atto tutte le misure necessarie al contenimento nell’immediato degli effetti che i tre livelli di effetti sopra elencati hanno prodotto, è anche il momento di interrogarsi su quello che comporterà d’ora in avanti ripianificare e riprogrammare le proprie prospettive, individuali e collettive. Credere che il Covid19 si possa superare unicamente gestendo l’emergenza per poi ristabilire, in un modo o nell’altro, gli status quo antecedenti alla pandemia sarebbe ingannevole e illusorio.

C’è un aspetto che certamente il coronavirus ha mostrato senza nessuna gentilezza: i limiti e gli esiti di scelte, approssimative e di corto respiro, poste in essere perlomeno negli ultimi vent’anni.

Dai percorsi assunti per l’edificazione dell’Unione Europea, il non aver contenuto le spinte esclusiviste del capitalismo globalizzato che ha accentuato disuguaglianze e disparità, l’aver prodotto riforme con orizzonti minimi, fino ad arrivare alla struttura stessa dei patti sociali alla base delle democrazie occidentali, dati troppo spesso per scontati, sono tutti elementi che pericolosamente stanno vacillando sotto i colpi di una quotidianità che non riesce più a essere decifrata come fatto finora.

Per quanto spetta a questa Organizzazione, come già affermato in passato, non mancherà il contributo di idee e di progettazione di un futuro che al momento assume contorni indefiniti e assai foschi.

Se, come sembra essere ormai abbastanza evidente, il Covid sta mettendo a rischio la tenuta del Patto sociale alla base di ogni  comunità, stato o nazione, è necessario interrogarsi relativamente alle scelte da compiere il prima possibile al fine di tutelare la tenuta di sistema, soprattutto per le prossime generazioni.

La mole di accelerazioni imposte dal combinato disposto dei processi innescati dalla fine del mondo a blocchi, il superamento di sistemi economici di stampo pubblicistico, l’avvento della globalizzazione ed infine l’ormai imminente passaggio dalla “terza” alla “quarta” rivoluzione industriale, ed infine la pandemia, stanno riconfigurando il quadro generale in tutte le sue complesse implicazioni economiche e sociali. L’esigenza di sostentare un modello basato su sviluppo e crescita si sta oggi drammaticamente scontrando con il rischio di vedere lacerati gli indispensabili legami sociali sottintesi al modello stesso.

Da anni è in atto una complessiva ridefinizione dello sviluppo del lavoro, in tutte le sue accezioni, costretta tra il tramonto di un’idea passata, che conosciamo, e un’alba che ancora non è arrivata e quindi resta sconosciuta. A questo si aggiunga, anch’essa in atto da anni, una trasformazione sostanziale del processo di accumulazione ed investimento del capitale, legato essenzialmente alla variazione generalizzata dei sistemi previdenziali, passati da sistemi retributivi a sistemi contributivi. Una gestione che in via diretta come primo pilastro o indiretta, come secondo, è passata dal monopolio pubblico a sistemi privati o misti pubblico-privato. Il passaggio della gestione da pubblica a privata, è quello che ha contraddistinto la trasformazione della tutela previdenziale dei liberi professionisti nel nostro Paese. Una trasformazione avviata normativamente con la Riforma del sistema previdenziale forense (L. 576/80) seguita da una successiva serie di leggi che hanno spostato l’asse dei regimi previdenziali dalla mutualità alla solidarietà. E’ su queste basi legislative che si è eretta, nella seconda metà degli anni novanta, la c.d. privatizzazione delle casse previdenziali dei liberi professionisti, ovvero la loro variazione in persone giuridiche di diritto privato. Un assetto, quello delineato con i decreti legislativi 509/94 e 103/96, ancora oggi sussistente e che, a parte gli interventi del governo Monti diretti a garantire l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche, non ha mai visto interventi di riforma a largo raggio volti a definire in maniera più specifica la funzione delle Casse di previdenza, rendendo davvero compiuto il processo di privatizzazione. Un iter di trasformazione che non essendo mai stato effettivamente concluso e consolidato, espone quello che dovrebbe essere un comparto, ma che in realtà non lo è mai stato, a continue oscillazioni dagli esiti non scontati. Una genesi normativa e la successiva unica riforma strutturale (2011) sicuramente viziate entrambe dalle condizioni contingenti, caratterizzate da una grave crisi economico-finanziaria ed anche istituzionale. Probabilmente se negli anni il Legislatore, ma anche i diretti interessati, avessero interpretato quella trasformazione che progressivamente si stava manifestando (la riduzione delle platee contributive, il radicale mutamento del mercato del lavoro e quello subito da alcune professioni, il sempre più difficile accesso alla libera professione, il calo demografico e il decremento di laureati) operando un cambiamento radicale di visione, oggi le oscillazioni sarebbero minime e la tentazione, sempre in agguato, di gettare il bambino e l’acqua sporca, non avrebbe ragion d’essere.

Il caso dell’Ente di Previdenza dei Giornalisti (INPGI) da qualche tempo rappresenta la sintesi di criticità che solo chi non vuole vedere, o è in malafede, può considerare come episodiche o esclusive. Oggi, a fronte delle molteplici e complesse necessità imposte dal Covid, e da tutto quello che non è stato fatto prima, la crisi che sta affrontando l’Inpgi, a nostro parere, dovrebbe essere l’occasione per una profonda riforma dell’intero comparto della Previdenza Privata, rendendo compiuto finalmente quel percorso iniziato ormai circa venticinque anni fa. Con un impostazione che vada al di là del semplice mantenimento dello status quo o della risoluzione del singolo caso. Ritenere che soluzioni estemporanee, e non ragionate, applicate al singolo caso in essere, preservino da prossimi casi simili vorrebbe dire perseverare nell’adottare visioni miopi e di corto respiro.

E’ necessario che l’intero sistema sia riformato.

Anche al fine di renderlo aderente a quella funzione che, nel drammatico anno appena trascorso, ha visto le Casse Previdenziali allontanarsi sempre di più dalla mera previdenza per una attività assistenziale più articolata di Welfare integrato.

Il Sistema delle Casse Previdenziali, così concepito dal legislatore, nel prossimo futuro paleserà un’insita debolezza strutturale: un rischioso concentramento del rischio perché ogni realtà professionale è distinta e svincolata dalle altre. Sarebbe necessario porre le basi per la transizione da un modello basato su singole realtà previdenziali, rigido e poco elastico, a un effettivo Polo della Previdenza delle Professioni, flessibilmente immune alle dinamiche specificatamente corporativistiche, e capace di ammortizzare le oscillazioni e le evoluzioni del mercato del lavoro delle professioni, raccordando le diverse realtà professionali. Tale da introiettare, assorbendoli, gli effetti del combinato disposto derivante dal principio generale della gestione a ripartizione che, unito alle contrazioni di questa o quella platea contributiva, innescheranno sempre più spesso il tema della sostenibilità di questa o di quella Cassa Previdenziale. Se il sistema a ripartizione deve continuare ad essere il principio ispiratore del primo pilastro previdenziale, almeno in via prioritaria, allora è necessario, al fine della maggiore condivisione e contenimento del rischio,  salvaguardando la natura privatistica del Comparto, la costruzione di una sorta di mutualità nel sistema previdenziale privatizzato che compenserebbe le difficoltà di un settore, o una specifica attività professione. Un organismo in grado di fornire un’assistenza focalizzata sulla capacità lavorativa del libero professionista, che vada dal sostegno economico fino all’assistenza strategica, che abbracci l’intero arco professionale: dal periodo post universitario, alla formazione, all’acquisizione di competenze specialistiche tali da affrontare momenti di transito lavorativo (cambio di attività, disoccupazione). Che sia in grado di riscoprire il valore etico delle professioni e le naturali differenze strutturali tra esse. Con una necessaria revisione della fiscalità che sia in linea con il livello europeo, prevedendo anche una fiscalità di scopo che possa dare gambe alla ripresa dei vari mercati professionali, o che sia capace di ammortizzare, per quanto di competenza, eventuali collassi degli stessi. In cui si sviluppi una nuova generazione sia di lavoratori che di amministratori, in cui si superi una contrapposizione stantia che vede messe di fronte l’una all’altra due visioni che non hanno più ragion d’essere, dove da una parte c’è chi vorrebbe l’assoluto arbitrio di trattare il Personale dipendente secondo criteri ottocenteschi e retribuirlo senza nessuna considerazione delle professionalità dimostrate, e chi dall’altra, a fronte di extra tutele vorrebbe retribuzioni di privilegio. Una realtà capace di accettare i benchmark conseguenti da una condizione di esercizio monopolistico di una funzione pubblicistica, che necessariamente, non può limitarsi alla semplice approvazione dei bilanci.

La previdenza privata va difesa. Ma per farlo deve essere riformata.

Se ciò non accadrà, se il coraggio che solo nei momenti di crisi come questo deve svelarsi lascerà il passo alle sterili difese delle rendite di posizione di stampo corporativo avulse da ogni tipo di consapevolezza, allora l’inutile deriva  demagogica, dalla indubbia capacità affabulatrice, guiderà, ancora una volta, i percorsi.

Pierluigi Sernaglia

CNEL: la Repubblica Italiana è ancora fondata sul lavoro?

Il XXII Rapporto sul Mercato del lavoro e la contrattazione del CNEL presentato nella mattinata di oggi, in collegamento telematico, di fatto pone un interrogativo estremamente complesso:  ha ancora senso l’articolo uno della Costituzione della nostra Repubblica?

Nel corso dell’assemblea tematica presieduta dal Presidente Tiziano Treu interverranno la Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, Nunzia Catalfo, e il Direttore per l’occupazione e il lavoro presso l’OCSE Stefano Scarpetta. Gli argomenti e i temi trattati nel Rapporto 2020 alimentano il dubbio che il fondamento del nostro Stato non risieda più nel lavoro e nell’occupazione, e forse non è un caso se proprio il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, l’organo di rilievo costituzionale spesso ingiustamente mostrato come Ente inutile, ponga l’accento su un’emergenza che, forse, andrebbe trattata con maggiore interesse.

A partire dall’occupazione giovanile, con 2 milioni giovani che non studiano e non lavorano, passando a quella femminile, con quasi una donna su due inoccupata, condizione ulteriormente aggravata durante la pandemia con un sovraccarico del lavoro familiare causato dalla chiusura delle scuole, la condizione occupazionale che viene descritta rischia di aumentare ulteriormente disuguaglianze sociali già da tempo presenti.

La didattica a distanza avrà probabilmente contenuto il tasso di contagi da Covid-19, ma ha quasi certamente fatto aumentare quello della dispersione scolastica, condizionando i percorsi formativi di migliaia di future lavoratrici e lavoratori.

L’emergenza è ricaduta violentemente su dodici milioni di lavoratori, tra dipendenti e autonomi, che hanno visto la propria attività lavorativa sospesa o ridotta. Nemmeno il fronte dei contratti di lavoro vede luci: ad oltre 10 milioni di lavoratori (77,5% del totale) non è stato rinnovato il contratto. Il valore più basso degli ultimi 20 anni.

Il combinato disposto determinato dal Covid e dai provvedimenti adottati per contrastare l’emergenza sanitaria ha modificato profondamente l’andamento del mercato del lavoro e, con l’indispensabile ricorso al lavoro agile, la stessa prestazione lavorativa, modificando tempi e luoghi delle attività umane.

La prossima interruzione della cassa integrazione e la fine del blocco dei licenziamenti rischia di innescare processi di frizione sociale dagli esiti difficilmente prevedibili.

Una fotografia che imporrebbe, accanto alle politiche di contenimento dell’emergenza messe in atto finora, di progettare una strategia in grado di immaginare prospettive di ripresa sociale tali da superare i colpi sotto i quali l’attuale modello di sviluppo sta cedendo, e di immaginarne uno del tutto nuovo che possa vedere garantito alle nuove generazioni quel patto sociale che altrimenti rischia di non essere più rispettato.

Uno sforzo che non può che essere collettivo, serio e responsabile che vada al di là del mero ripristino delle condizioni antecedenti alla pandemia, ma che sia in grado di generare una complessità di processi virtuosi che ammortizzino l’impatto di un debito pubblico senza controllo, della bassa natalità e della minima presenza degli under 35 nel sistema produttivo italiano.

Pierluigi Sernaglia

ENPAV: firmato il rinnovo del contratto integrativo aziendale.

Si è conclusa con successo lo scorso 30 dicembre, la contrattazione per il rinnovo del Contratto Integrativo Aziendale presso l’ENPAV, l’Ente di previdenza e assistenza dei veterinari, iniziata il 12 novembre scorso.

Il rinnovo del CCNL, avvenuto un anno fa, ha dato l’impulso per il confronto tra le parti con l’obiettivo di raggiungere il rinnovo del contratto di secondo livello, fermo ormai da circa dieci anni.

Il clima della contrattazione è stato inevitabilmente condizionato dal difficile momento che ormai da tempo sta vivendo il Paese, momento reso ancor più complicato dalla pandemia contro la quale stiamo combattendo da oltre un anno. In quest’ottica va letta anche la necessità di disciplinare lo Smart Working, al di là della circostanza di urgenza applicata dai DPCM che si sono succeduti. Proprio per sottolineare l’importanza di questo nuovo strumento che offre lettura diversa sul modo di pensare il lavoro, si è concordato con la Direzione Enpav di aprire un tavolo specifico nel corso dei prossimi mesi.

Accanto allo Smart Working, nei prossimi incontri verranno discussi anche altri importanti istituti che necessitano di essere rinnovati, tra cui il Welfare e in particolare, la Previdenza complementare, ferma ormai al 2003 e con urgenza di un adeguamento non più rimandabile.

In questa fase va innanzitutto posto l’accento sull’importanza rivestita dalla contrattazione, che dopo un lungo periodo di immobilità, è tornata a recitare il ruolo che le spetta, nella costruzione di un sistema di relazioni industriali che hanno come obiettivo l’adeguamento e il miglioramento delle condizioni in essere dei dipendenti.

CISL FP – ENPAV

 

Vacciniamo il futuro

Quello che sta per concludersi verrà ricordato come uno degli anni più difficili e drammatici dai tempi del dopoguerra.

L’esplosione della pandemia dovuta al Covid19 ha letteralmente sbattuto in faccia ad ognuno di noi, una serie di difficoltà, complicazioni, sia sul piano individuale e collettivo, con cui dovremo necessariamente avere a che fare ancora per molto tempo.

A chi ci avesse prospettato, solo un anno fa, che la diffusione di questo virus sconosciuto avrebbe provocato la morte, per cause dirette o indirette poco conta, di circa un milione e ottocentomila persone, e che per la facilità della sua trasmissione, circa ottanta milioni di individui risultino ad oggi contagiati probabilmente avremmo risposto che era un’ottima trama per un romanzo di fantascienza.

Invece, purtroppo, la realtà covidizzata è ormai un dato di fatto: da mesi è normale alle sette della sera apprendere, con quel cinismo imposto nei tempi di crisi, il numero di morti che quotidianamente soccombono alla battaglia nelle terapie intensive. Da mesi le nostre abitudini quotidiane sono state stravolte sostituite da nuove, che vengono compiute meccanicamente in funzione della minimizzazione dei rischi: indossiamo la mascherina, igienizziamo le mani praticamente ogni minuto, rispettiamo il distanziamento sociale guardando con sospetto chi ci si avvicina troppo.

Abbiamo smesso di stringerci la mano, di abbracciarci, anche quando avremmo bisogno o desiderio di farlo, per conforto o semplicemente per manifestare i nostri sentimenti. La diffidenza, già molto diffusa in una società sempre più individualizzata, è ancor più praticata.

Il mondo come lo conoscevamo, o forse come ci illudevamo di conoscere, probabilmente non esisterà più: ciò che sembrava controllato e controllabile in realtà ci sfugge di mano, o forse aveva già iniziato a farlo e non  ce ne eravamo resi conto. Anni di suggestioni  propagandistiche del culto della vittoria e del successo ad ogni costo hanno nascosto debolezze e fragilità che, all’improvviso, stanno presentando il conto in modo brutale. Ogni dimensione della vita di ognuno di noi, personale e sociale, è stata condizionata da un’illusione che questa pandemia ha fatto svanire al punto tale che, per dirla come Mark Fischer in “Realismo Capitalista”, accanto alla sostenibilità ambientale del modello di sviluppo si sta prepotentemente ponendo la questione della sua sostenibilità umana.

Il Covid ha squarciato il velo su quel che resta di quelli che Jean Fourastié definì i trenta gloriosi”, battezzando gli anni di crescita economica successivi alla fine della seconda guerra mondiale, mostrando un capitalismo che non è riuscito ad essere inclusivo, ma anzi ha accresciuto drasticamente le differenze tra chi sta bene e chi fatica per non essere espulso dal sistema. Un capitalismo principalmente finanziario, con benefici molto alti e molto veloci per azionisti e manager, con retribuzioni e premi altissimi per i vertici delle imprese e bassi, molto bassi per chi non è accettato nelle élite. Un modello sociale ed economico, con buona pace di Francis Fukuyama che nel 1989 ne “La fine della storia” aveva  teorizzato che il processo di evoluzione sociale, economica e politica dell’umanità avrebbe posto fine a disuguaglianze e disparità escludenti alla fine del XX secolo, è invece sempre più spietatamente definito dalle variabili del profitto e del guadagno.

Solo ripensando il modello di sviluppo, ricostruendo connessioni collettive, che non siano semplicisticamente riconducibili a piattaforme social, che ponga in essere tutte quelle misure dirette alla valorizzazione dei meriti contestualmente al contenimento dei bisogni, scelte e condotte che da anni avrebbero dovuto essere state messe in atto, sarà possibile costruire il nuovo mondo.

Un modello che rimetta al centro la valorizzazione del capitaleumano, che ridefinisca la sfera di diritti e tutele pubbliche, come il diritto alla salute e all’istruzione, che rimoduli una cultura del lavoro arginando le tendenze a contrapposizioni dal sapore corporativistico: garantito contro precario, lavoratore dipendente contro professionista. Un sistema che azioni finalmente quel cosiddetto  ascensore sociale, rimpiazzato finora nemmeno da una scala antincendio, che ridefinisca la cultura dei diritti ma anche quella dei doveri, che non mortifichi i talenti, la creatività, le energie individuali e imprenditoriali, ma al contrario le valorizzi per risolvere i problemi di tutti.

Il contesto in cui operiamo, quello della Previdenza Privatizzata, non è e non sarà avulso da questa analisi, anzi.

Elementi come la funzione svolta dagli Enti, non più di semplice erogazione di trattamenti pensionistici o assistenziali, la ricaduta della contrazione dell’accesso alle professioni, senza contare il calo demografico amplificato dalle conseguenze del Covid, determinano l’esigenza di una riflessione articolata e approfondita. Che si faccia carico di immaginare nuove strategie e nuovi sviluppi, con un respiro più ampio di quello che può fornire una politica sussidiaria.

Il prossimo anno, che tutti speriamo meno difficile, non ci faremo trovare impreparati.

Un anno che ci vedrà, tra l’altro, in prima linea per definire il nuovo CCNL delle lavoratrici e dei lavoratori delle Casse previdenziali. Contratto che per quanto ci riguarda non può essere concepito solo come strumento delegato a regolamentare i rapporti di lavoro in essere, ma come volano di unione e consolidamento di un Comparto, quello della Previdenza Privatizzata, che negli anni a venire sarà vitale per il Sistema Italia.

Buon anno, e buona fortuna, a ognuno di noi.

Andrea Ladogana​​​​​​​​​

Pierluigi Sernaglia